lunedì 15 luglio 2013

Una donna del Sud vale meno?

Una donna del Sud vale meno?
di Sabrina Creuso

Il titolo, volutamente provocatorio, vuole aprire una parentesi di riflessione sulla situazione femminile, letta in chiave meridionalista, sulla questione “lavoro”.

Una delle considerazioni più radicata e sempre più spesso taciuta o addirittura inconsapevolmente assorbita, è che quello che fanno le donne sia meno importante di quello che fanno gli uomini; oppure, che le donne sono per loro natura addirittura inadatte a praticare determinate attività che fino a pochi decenni fa erano prerogativa sostanzialmente e prettamente maschile.



I tempi sono certamente cambiati da quando come per tautologia si affermava che le donne non potevano studiare perché non ne avevano le capacità, ad oggi in cui le giovani laureate sono numericamente il doppio dei laureati di sesso maschile. Oggi le donne occupano posizioni che vanno dal dirigere una nazione all’intraprendere carriera in ambito militare, dal pilotare un aereo, ad effettuare interventi chirurgici a cuore aperto, e così via.  Sebbene il cambiamento culturale ci sia stato, esso è stato lento ed approssimato, evolvendosi in maniera diversa a seconda dei territori, nonostante siano state promulgate leggi che hanno imposto la condizione di “pari opportunità” e di tutela della maternità, almeno formalmente.

Dopo la seconda guerra mondiale nel mondo nord occidentale sono cadute le barriere giuridiche che impedivano alle donne l’accesso a determinati posti di lavoro. Una cosa è certa, tale esclusione non era rivolta al lavoro in sé, ma mirava ad escludere le donne da tutti i posti e ruoli che consentivano un margine di autonomia economica, entrando in concorrenza con la forza lavoro maschile, coincidendo poi con ruoli di prestigio o di potere. Ma le cose cambiano e stanno cambiando!

Ovviamente, il grande escluso dal mondo lavorativo è l’esercito delle madri, per cui la famiglia, la maternità, l’interesse della prole, ecc., da sempre è stato motivo di ricatto psicologico basato sulla colpevolizzazione del ruolo femminile concepito e relegato all’accudimento del focolare domestico. Tale percezione, ahi noi, ancora persistente è fortemente radicata nelle popolazioni del Meridione. Eppure i fatti dicono che l’Italia è un paese assai scomodo per le madri, infatti il 14° rapporto annuale di Save The Children sullo stato delle madri nel mondo ci colloca al 17° posto; le condizioni di salute delle mamme e dei bambini raggiungono un livello alto con una formazione scolastica pari a 16 anni. La partecipazione alla vita politica è scarsa, pari al 20,6 %, dato per zero in crescita alle ultime elezioni politiche, con il 28,6% di rappresentanze femminili al Senato ed il 31,3% alla Camera.

Un paradosso è il dato che emerge dagli Stati Uniti d’America che si classificano al 30° posto, nonostante si collochino al 10° posto fra i Paesi più sviluppati economicamente.

Con l’attuale crisi economica sistemica e la perdita di circa un milione e settecentomila posti di lavoro nella sola Italia, la situazione delle donne è estremamente peggiorata, e là dove il divario di crescita nord –sud era evidente, ora si è ulteriormente accentuato e l’occupazione femminile è divenuto un problema che tocca i picchi storici in negativo registrati nel 2004, in cui la probabilità di lavorare per le ragazze si è quasi azzerata. Oggi meno di due giovani donne su dieci ha un posto di lavoro stabile, per un campione di ragazze compreso fra i 15 ed i 29 anni. 

Le giovani donne del Sud anche se provano ad inseguire il sogno della realizzazione lavorativa, vivono una realtà che le condanna sempre più spesso ad un presente da casalinghe, mentre per chi lavora, il più delle volte, le mansioni sono di bracciante agricola. Nel Meridione sono oltre 280 mila le donne occupate nell’agricoltura su un totale nazionale di 406 mila.

Resta talmente evidente il divario con il Nord dove la quota di giovani occupate sale al 45,7%, che persino il presidente dell’ISTAT, Enrico Giovannini, nel corso di una audizione parlamentare ha sottolineato la “questione meridionale” dove la forza lavoro giovanile è maggiormente vulnerabile. Ci si deve accontentare di ciò che si trova, tutt’al più di lavoro precario dove si assoggetta più facilmente le donne a soprusi, ricatti e sfruttamento mentre la previsione di vita futura si allontana.  Il lavoro nero la fa da padrone.

I dati ISTAT paradossalmente ci permettono di sconfiggere i consunti stereotipi sui meridionali che non hanno voglia di lavorare, e di contro di individuare e sostenere mezzi e percorsi atti a promuovere un adeguato sviluppo economico che metta il Meridione al passo col Settentrione evitando di fare una politica di sussistenza, senza investimenti reali.

In Italia quindi le più penalizzate sono le giovani donne del Sud. Per tutte loro lavorare è un'eccezione oltre che un evento straordinario, anche se la crisi ha reso la ricerca di un lavoro, una vera e propria mission impossible in cui non solo si assottiglia la probabilità di trovare lavoro, ma si arriva ad azzerare la speranza. Questa potenziale forza lavoro è costituita per la maggior parte da donne che i centri per l’impiego definiscono genericamente “disoccupate amministrative”. 

Di contro le donne del Sud sono quelle più votate all’imprenditoria come sbocco di autorealizzazione e di possibilità occupazionale. Il Mezzogiorno si evidenzia per i valori più elevati di femminilizzazione del tessuto imprenditoriale. Sono oltre 1,4 milioni le imprese femminili in Italia e oltre 500 mila sono presenti su territorio meridionale, pari al 26% del territorio nazionale, seguito dal centro Italia col 24% e dal Nord ovest con il 22%. Tra le città del Sud al primo posto c’è Napoli col 26% di imprese gestite da donne; Milano il 20%. Tra le nostre province, Avellino ha il 33,3% e Benevento il 32,5%.  Invece sono tutte al settentrione le province con la percentuale più bassa di imprenditoria femminile -- fanalino di coda Reggio Emilia con il 17.2%; queste sono le imprenditrici italiane fotografate dall’osservatorio dell’imprenditoria femminile di Union Camere sulla base dei dati del Registro di Imprese della Camera di Commercio. Se pensiamo che ci sono due imprenditrici del Sud fra i cavalieri del lavoro, nominate dal Presidente della Repubblica, viene da se che la donna meridionale non vale meno, ma ha semplicemente meno opportunità di potersi realizzare perché le condizioni socio-economiche non le permettono di potersi esprimere come le si conviene.

Noi Meridionalisti Democratici-federalisti europei appoggiamo, condividiamo con forza e ci impegniamo affinché ogni donna del Meridione abbia la possibilità di realizzarsi nel lavoro e culturalmente al pari di una coetanea del Nord Italia, mettendo a frutto le idee e la capacità imprenditoriale per cui il nostro Sud ci è tanto invidiato. 

Da meridionalisti ci batteremo affinché siano attuate le politiche già previste dall’Unione Europea per il rilancio e il riscatto dei nostri territori e affinché lo Stato italiano metta in atto tutte le iniziative per incentivare l’investimento di capitali privati e pubblici nel Meridione, con massima priorità per l’impiego di forza lavoro autoctona. Ci batteremo anche affinché nel Meridione siano reinvestiti i profitti realizzati dalle imprese private e che siano versati localmente i proventi delle tasse generati nei nostri territori, per il bene della nostra collettività.

Da democratici ci batteremo per sostenere tutte le iniziative che rendano reale uguaglianza fra uomo e donna, dovunque, ma, in particolare nei nostri territori, ci batteremo per colmare il divario non solo fra uomo e donna, ma fra le donne del Sud e quelle del Nord, specialmente nell’occupazione da lavoro dipendente, dove lo svantaggio ai danni delle nostre donne è enorme.