lunedì 25 novembre 2013

Il Forum a Napoli e la (mancata) ricchezza della cultura

di Vincenzo Villarosa

Il “Forum Internazionale delle Culture”, che la città di Napoli ospita nel 2013, è un evento promosso dall’Unesco, con il fine di promuovere il dialogo tra le diverse culture dei popoli del mondo. La prima edizione si svolse a Barcellona, nel 2004, sui temi della diversità, dello sviluppo sostenibile e della pace, la seconda nel 2007 a Monterrey, in Messico, con l’aggiunta del tema della conoscenza, e la terza a Valparaiso, in Cile nel 2010, con un particolare accento posto sul problema della povertà.  Nella città partenopea, l’amministrazione del Sindaco De Magistris ha promosso il Forum, mentre la Regione si è accollata l’onere finanziario dell’evento.



Non parleremo qui delle polemiche sorte attorno alla gestione del Forum,
visto come motivo di orgoglio dagli enti organizzatori o invece come un’altra “occasione mancata” da parte delle voci più critiche. Ci piace partire, a ogni modo, da un articolo scritto da Ernesto Mazzetti, sul Corriere del Mezzogiorno, dal titolo "La cultura dell’«ammuina»", apparso sul giornale sabato scorso, 23 novembre.   L’autore si dice sostenitore sia della cultura “alta” degli studiosi e dei centri della cultura sia di quella che si rivolge a platee più popolari, perché entrambe sono fonti di benessere per la città. A guardare il programma, tuttavia, al Mazzetti non sembra un traguardo possibile per l’evento organizzato a Napoli e definisce, senza mezzi termini, come “cultura dell’ammuina” quella espressa dal Forum.

L’evento dovrebbe costituire, in effetti, un momento di aggregazione sociale e culturale e svolgersi in siti restaurati, in una cornice di rinnovamento urbano, con investimenti onerosi, ma in previsione di un ritorno economico, oltre che di una grande eco culturale.

Quando vi fu la prima edizione a Barcellona, il Forum ebbe grande successo e contribuì alla riqualificazione urbana di una vasta area della città catalana. Nacque una Fondazione, in seguito, che da allora “vende” l’evento alle città che vogliano ospitare il “prodotto” culturale e sociale.

Al di là delle polemiche, provenienti da diverse “fazioni” culturali e politiche, la riflessione che ci interessa fare è quella relativa all'ennesima espressione di “provincialismo”, presente sia nella scelta di promuovere la cultura partenopea e campana acquistando “format” di aggregazione culturale e sociale che provengono da altre realtà sia nelle critiche legittime, ma forse dettate più dall'antagonismo politico locale che dalla riflessione sulle reali possibilità di organizzare la vita culturale – alta o popolare – con le risorse strutturali, sociali e umane già presenti.

Il patrimonio artistico-culturale e sociale della città di Napoli e dell’intera Campania, unito all’ambiente naturale nel quale si trova, è già in sé un “format” di straordinaria bellezza e qualità culturale, che potrebbe esprimere la propria ricchezza – anche materiale – se non fosse ostacolato dalla mancanza di spirito comunitario e volontà politica, anch'esso ormai diventato un format culturale “in negativo”.

Viene da domandarsi se le amministrazioni locali non risentano, e siano frenate nella loro azione malgrado le migliori intenzioni, della “cultura della malaunità”, che considera tutto quello che riguarda il Meridione – dall'economia alla cultura, con le ripercussioni sulla vita quotidiana dei suoi abitanti – come un fenomeno “residuale”, minoritario rispetto al panorama nazionale.

L’arte e la cultura partenopea e campana, quindi, costituiscono da sempre una ricchezza “in potenza”, ma raramente questa si trasforma in atti concreti di organizzazione del turismo culturale (e sociale), fino a costituirsi come un volano del possibile cambiamento – in linea con il modello di un’economia eco-sostenibile, nel rispetto dei diritti umani e della pace tra i popoli –  con il rilancio, in tempi medi e lunghi, dell’artigianato e del commercio, delle risorse produttive agro-alimentari e dell’operatività piena delle strutture ricettive.

Se quest’ultimo scenario si realizzasse, di quali “format” stranieri avrebbe mai bisogno quel “teatro vivente” dell’arte e della musica, della cultura e della socialità napoletana, riconosciuto a livello internazionale come uno dei più articolati e ricchi del pianeta?