domenica 29 settembre 2013

La svendita delle aziende italiane danneggia il Sud





di Sabrina Creuso

Chi vive nel meridione sa che se c’è da tagliare si taglia prima al Sud; sa bene che bisogna mantenere un profilo basso nell’ investimento e nell’ imprenditoria perché c’è la camorra in agguato, e, in ogni caso, non si deve arrecare danno alle concorrenti del Nord. Chi vive nel meridione sa anche che le menti più vivide partorite nelle nostre terre svilupperanno idee geniali che porteranno soldi alle casse di chi garantirà loro stabilità economica: l’emigrazione intellettuale, quelle delle migliori menti, continua e diventare una vera emorragia per i nostri territori.



Eppure, si continua a sentire i rappresentanti delle istituzioni parlare di un Sud “cancro dell’Italia”, che “i meridionali sono nulla facenti”, che “al Sud si scrocca alle spalle del Nord produttivo”.  La verità è che al Sud non si investe.  Non investono i privati. Non investo lo Stato.

Osservando le azioni degli ultimi due governi, quello Monti e l’attuale governo Letta, si può facilmente trarre la conclusione che seguono una linea comune che mira a tutelare gli interessi del sistema bancario e finanziario in Italia e gli interessi dei popoli più ricchi a scapito di cittadini e lavoratori, specialmente nei Paesi e territori più in crisi nell’attuale congiuntura economica, come nel caso del Sud e delle isole italiane.  Questi governi hanno applicato e sostenuto quasi senza contradditorio quelle decisioni della Banca Centrale Europea (BCE) che sono servite per sostenere l’Euro, senza, tuttavia, applicare quelle decisioni e quei progetti dell’Unione Europea che invece avrebbero creato e ammodernato le infrastrutture nei nostri territori, avrebbero aumentato la competitività dei nostri prodotti e servizi, e avrebbero creato i presupposti per sviluppare il potenziale del nostro grande capitale umano, che, invece è destinato ad emigrare.

I governi Monti e Letta non hanno fatto altro che applicare una politica di sacrifici, riducendo qualsiasi investimento pubblico, spremendo i lavoratori con tasse che spesso cambiano nome, ma sono sempre tasse.  Gli imprenditori privati dei nostri territori sono stati colpiti attraverso una serie di misure restrittive sul credito, che non fanno altro che ridurre ancora di più la capacità competitiva in un mercato globale.

Mentre i settori pubblici e privati sono colpiti in vario modo dalla scure del governo, salta agli occhi quanto sta accadendo ad alcune aziende “nazionali”, che anni fa erano pubbliche, che sono state privatizzate (con finanziamenti da parte di chi paga le tasse) e che ora stanno per passare a proprietari stranieri.  Il governo Letta potrà stabilire un triste primato, quello che piano piano ci depaupera di aziende importanti a livello nazionale e ci renderà sempre più appetibili ai grandi magnati dell’economia europea.  L’Italia sta svendendo ciò che con fatica è stato costruito con capitali pubblici e tanto lavoro e finirà per regalare a finanzieri e investitori stranieri, per pochi milioni di euro, quelle aziende che rappresentavano anche eccellenze nelle loro rispettive industrie. Per chi non lo avesse ancora capito c’è in corso una lenta deindustrializzazione e delocalizzazione delle aziende che ha trovato la sua prima applicazione al Sud, estendendola poi a mano a mano che l’economia iniziasse a vacillare. Si privatizza il servizio pubblico, e si esternalizzano i servizi, con società partecipate, rendendoli senza alcun controllo da parte delle istituzioni solo pozzi da cui attingere soldi, per poi dichiarare fallimento, con tutte le conseguenze che ne derivano.

Ora non si fa altro che parlare di Alitalia che diverrà francese, di Telecom che passerà agli spagnoli, di Fiat che avrà bandiera statunitense mentre l’Ilva si divide fra sequestri, blocchi della produzione, e decidere se vivere o morire per lavorare . . . e di come queste grandi aziende, alcune delle quali vero e proprio fiore all’ occhiello dell’economia italiana ed operative nel sud del Paese, siano state estromesse dalla produttività solo per concentrare le attività industriali al nord e renderci ancora di più una colonia alle dipendenze del Nord prima, e delle nazioni più forti della Comunità Europea poi.

Mentre da un lato si svendono aziende “nazionali”, dall’altro si chiudono attività produttive o si trasferisce all’estero la produzione.  IRIBUS è un esempio che la dice lunga su cosa succede alle aziende del Sud: a 32 dipendenti che si erano mobilitati attivando un’azione di lotta per evitare che questa azienda chiudesse e dismettesse un polo industriale tanto importante, è stata fatta pervenire una formale richiesta di avviso di garanzia da parte della procura di Ariano Irpino. Un vero e proprio atto intimidatorio, nei confronti di chi si tiene stretto il posto di lavoro. Eppure, a parte il sindacato USB che ha denunciato i disagi e l’atto vile a cui sono stati sottoposti questi padri di famiglia, nessuno ci ha fatto caso. 

La mala politica dei nostri territori, composta da affaristi corrotti e corruttori e da persone fondamentalmente incompetenti, è co-responsabile dello sfascio della nostra economia. Il Sud è destinato a perdere ancora migliaia di posti di lavoro e certamente non arriveranno i milioni di euro che servono per il rilancio, specialmente se le nostre popolazioni non reagiscono politicamente.  Il disastro economico che viviamo dimostra l’inadeguatezza delle figure politiche locali e della loro sudditanza verso le politiche dei governi nazionali che si sono succeduti da 153 anni.  Alcuni lamentano che l’Italia sta andando alla deriva.  Il Sud, da 153 anni, da quando è stato annesso al Piemonte, è alla deriva.  Per i nostri territori serve un risveglio dal basso, con una classe dirigente capace di scuotere le coscienze, ricordando anche che le aziende “italiane” che stanno per essere svendute a finanzieri e imprenditori esteri sono state create con le nostre tasse, con i nostri risparmi e con il nostro sudore.

Rappresentazione grafica della probabile attuale composizione azionaria delle due società: